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Il prof. Sgarbi firma Sfasamenti, testo critico su Marco Sciame

Sfasamenti

Ai tempi in cui ero ancora bambino, nel pieno del secolo scorso, quindi, i più piccoli trovavano particolarmente attraente un certo genere di figurine. Erano immagini, di un famoso calciatore in palleggio, per esempio, oppure di un personaggio dei cartoni animati, che sovrapponevano visivamente due diversi momenti di un’azione in uno solo; sopra di esse, c’era uno spechietto in plastica trasparente scandito da sottili linee verticali, perfettamente alternate fra alcune che sembravano più opache e altre meno, in un modo tale che se orientavi la figurina in una determinata direzione, vedevi solo una parte dell’immagine sottostante, corrispondente a un momento dell’azione. A fare velocemente quegli orientamenti in un senso e nell’altro, tenendo la figurina sul palmo della mano e ruotandolo, si aveva l’effetto, grossolano, ma comunque fascinoso, per gli occhi ingenui dei bambini, del movimento. Solo molto più tardi, quando ritrovai la stessa tecnologia applicata a cartoline erotiche o di carattere votivo (i Cristi che chiudevano e aprivano gli occhi, una volta immancabili nei negozi di souvenir presso il Vaticano), avrei saputo che quelle immagini venivano chiamate lamellari.

Sono state le opere di Marco Sciame, impostate su quella tecnica peculiare che é stata definita cromatismo/divisionismo lineare, a farmi tornare in mente le immagini lamellari, così come ad altri hanno fatto ricordare, non certo meno lecitamente, gli orditi tessili. Se insisto su di esse, é perché anche Sciame, in fondo, funziona come uno specchietto lamellare: da una parte si legge Paolo Cerasoli, nome all’anagrafe, dall’altra, appunto, il nome d’arte di Sciame, lo stesso di quello di un eroe dei fumetti, poliziotto senza macchia e senza paura, creato tempo addietro dallo stesso interessato. Perché Sciame é, da una parte, artista “da cavalletto”, come si sarebbe detto una volta, dall’altra un noto fumettista, anzi, un graphic novelist, come oggi il culturalmente corretto vuole che si dica. E ancora, a muovere lo specchietto, non vedi solo l’artista da cavalletto, ma anche un performer ben diverso dall’altro, con esibizioni corporali nello stile degli happeninganni Settanta.

Sciame, dunque, non come unicità, ma come totalità di differenti aspetti artistici, ognuno con le proprie ragioni d’essere. Per comodità di esposizione e maggiore dimestichezza con l’argomento, mi limito a considerare quello “da cavalletto”, ritornando alla tecnica “pseudo-lamellare”. E’ stato notato, credo correttamente, come l’impiego di una tecnica derivata dal fumetto (il tratteggio a “rigatino” con cui si segnano le aree ombreggiate o di colore differenziato dal bianco e dal nero, a sua volta derivato dagli analoghi espedienti dell’incisione) rimandi ai metodi canonici della Pop Art, legame che viene ulteriormente evidenziato quando Sciame tratta certi soggetti non certo estranei al gusto più caratteristico di quei tempi (penso, per esempio, a certi notturni metropolitani ricchi di neon e insegne pubblicitarie). Non mi sembra, però, che quel solo richiamo sia in grado di giustificare appieno un’originalità di Sciame che, come la sua personalità artistica, é multiforme, piuttosto che univoca. Noterei, per esempio, che le immagini di trasmissione, quelle che hanno cambiato il verso della nostra civiltà, da quelle televisive alle attuali che arrivano sui computer o gli smartphone, si affidano a texture lineari proprio come quelle di Sciame, anche se orientatate in senso contrario rispetto alle sue, orizzontali, lo stesso normalmente rinvenibile nelle trame delle tele su cui si dipinge. Se quindi, da una parte (il solito spechietto), Sciame congegna una modalità espressiva in linea sia con l’antico, sia con la più aggiornata modernità, dall’altra la contraddice, proponendo a riguardo una direzione diversa, forse non solo ottica o percettiva. Il massimo di questa contraddizione, evidentemente cercata, lo rinvengo in quelle opere in cui il campo visivo viene suddiviso in ulteriori elementi d’interferenza, delle strisce fra di esse adiacenti che non vengono fatte coincidere nelle loro continuità, come logica lineare vorrebbe, risultando più alte o basse del dovuto. Ne deriva un notevole effetto di sfasamento, cognitivo, in ultima analisi, che ricorda le distorsioni delle immagini televisive mal captate (c’é un pittore belga, Jens Hesse, che le tratta), facendoci riflettere, significativamente, sulla nostra reale capacità di metterci in connessione con ciò che la vista registra a ritmi da catena di montaggio. Certo, tutto ciò sarebbe ancora coerente con la Pop Art, ma in un modo rinnovato e criticamente meditato, più aperto al confronto con la storia, presente e passata. In effetti, a ben vedere, l’immaginario artistico di Sciame guarda anche molto dietro l’industrialismo visuale della Pop Art, contemplando sia il decorativismo planare, cromaticamente sovreccitato, di un Matisse o di un Klimt, sia l’orfismo cubista, distorcente e destruttarante per natura, di un Robert Delaunay. Basta muovere lo spechietto, e li si vede entrambi.

Vittorio Sgarbi

One Comment

  • marcello
    luglio 2nd, 2018 · Rispondi

    Complimenti questo blog è moltfo interessante

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