Il grido di Raffaello
L’ultima verità della mano di un Genio.
Raffaello non voleva morire. Comprende in quei suoi ultimi giorni drammatici che la vita lo sta abbandonando e chiama aiuto, fa testamento, saluta le persone care e riceve il Papa per l’ultima benedizione. Ma nel suo letto trema, suda, impreca perché vuole salvezza. Ha tutto, è amato ed invidiato, è ricco e dirige una bottega d’arte che assolve lavori in Vaticano. Le donne lo cercano, i prelati adorano la sua pittura, ha protezioni importanti ed è noto ovunque. Ma soprattutto è vicino a scoprire l’intima ed ultima verità dell’arte. Comprende che l’uomo è nato per creare, per conoscere fenomeni e teorie, per fare della poesia ogni forma espressiva. Difatti la sua opera è poesia visiva, la sua costruzione dell’immagine con figure sacre svela per visioni la profonda autenticità teologica.
L’arte è il mezzo per arrivare a Dio, è la bellezza che ci permette di sopravvivere e in essa ne troviamo ombra divina, perché in ogni composizione poetica si rivela un’ispirazione propria della divinità.
Nel suo incedere verso l’oblio, verso il decadere della morte, Raffaello scopre, assapora ancor di più, il messaggio della pittura. Così, morente, in delirio, sopraffatto da allucinazioni febbrili, raggiunge il massimo pensiero del significato reale dell’anima creativa. Come artista ha saputo segnare un atto evolutivo per l’umanità, ha compiuto un altro passo che porta lo spirito verso nuove conquiste di conoscenza e consapevolezza. La sua pittura, gli affreschi vaticani sono oltre il visibile, firmando la testimonianza dell’essere umano alla ricerca delle risposte sull’esistenza. 
E rivive così i suoi traguardi, i suoi maestri ispiratori, dal padre a Perugino, da Leonardo a Michelangelo, dall’opera di Piero Della Francesca alle collaborazioni con i pittori della sua bottega. Vede il David e la Gioconda a Firenze, segretamente scruta gli affreschi vaticani del Buonarroti, ha considerazione per chi prima di lui (come il Sodoma) ha lavorato nelle stanze e nel suo rispetto del fare altrui cerca di salvare il possibile.
Ma la sua lacrima in punta di morte grida la voglia di vivere. Perché la comprensione delle cose porta a continuare il cammino, e lui sa che ha ancora molto da costruire. Ma il respiro sembra finire, il sonno eterno lo reclama e si dispera, si dimena, si arrende.
Il pianto è l’epilogo di un abbandono non accettato perché egli è giovane, ammirato e invidiato, ha tutto, e ora nell’ultima comprensione dell’arte ha ancora tanto da fare. Ma muore e la conclusione è l’ingiustizia di un uomo illuminato.
 
			 
			 
			 
			 
			 
			